LA POLITICA

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Il ritorno del vecchio leone

Il vecchio leone è tornato a ruggire. Anche se la nuova condizione di affidato ai servizi sociali ha reso l’esordio a Porta a Porta prudente, principalmente sui temi della giustizia, Berlusconi ha poi ritrovato tutta la sua grinta.
L’ex cavaliere sapeva bene che, dopo un anno di assenza, a tale opportunità televisiva, era affidata gran parte della difficile scommessa per contenere  Renzi, che muove alla conquista di una parte consistente dell’elettorato moderato. Quest’ultimo ne ha adottato le tecniche comunicative, anche se con modalità più adatte al linguaggio della generazione più giovane.
La performance ha dimostrato come un pur appesantito peso massimo sia in grado di tenere a bada un giovane e scattante peso gallo. Il primo indiscutibile punto lo ha segnato grazie all’impeccabile doppiopetto blu di gran taglio, rispetto alle maniche di camicia con cui si era presentato a twittare  il suo giovane contendente, in contrasto palese con l’eleganza della sala stampa di Palazzo Chigi. 
Senza tuttavia smentire l’accordo, evidentemente tutto da rinegoziare, Berlusconi ha di fatto affondato le riforme costituzionali,  definendo “non votabile” la modifica del Senato, i cui termini non sarebbero mai stati precisati nel dettaglio, mentre ha affermato che l’Italicum andrebbe rivisto, perché autorevoli studiosi, di recente, lo avrebbero definito incostituzionale, in considerazione del nuovo schema monocamerale. 
Sul terreno dei provvedimenti legislativi, si è dimostrato un oppositore determinato ed ha messo al tappeto il suo giovane successore, qualificando gli 80 Euro di riduzione IRPEF come una mancia elettorale con coperture molto dubbie e facendo rilevare che, se fosse stata decisa da lui, avrebbe suscitato una rivolta. Inoltre ha aggiunto che, per alcuni milioni di lavoratori dipendenti, tale somma rappresenta, si, una sorta di quattordicesima, come la definisce lo stesso Renzi, ma, in compenso, le nuove tasse imposte dal Governo assorbiranno, per tutti, l’intera tredicesima.
In una Seconda Repubblica basata sul leaderismo, che ormai si è consegnata a tre comici, uno, Grillo, di professione e gli altri due, altrettanto, Berlusconi è apparso come un Tognazzi, un Gasman o un Walter Chiari, rispetto al capo del M5S, che deve ricorrere per farsi ascoltare alla volgarità, o a Renzi, che somiglia ad uno di quei nuovi comici, che invadono ogni sera i teleschermi e che hanno bisogno del gesto forzato o all’espressione dialettale sguaiata per strappare l’applauso.
Ai giornalisti che avrebbero dovuto incalzarlo, ha lasciato un ruolo marginale,  grazie al ritmo torrenziale, che ha saputo imporre. Il nuovo direttore dell’Unità, Luca Landò, è stato zittito con l’accusa di dire falsità quando ha tentato una ricostruzione  dell’assemblea del Giornale, del quale all’epoca era redattore, che segnò la rottura tra Berlusconi e  Montanelli. 

Molto più prudente, Antonio Polito ha evitato di polemizzare, ma ha offerto al vecchio leone l’opportunità di spiegare che non intende tirare la volata al sgretario del PD, piuttosto cercando di dimostrare che, di fatto, ne ha in mano il destino.  Ricordando che sostanzialmente le riforme costituzionali in discussione rappresentano una tardiva conversione della sinistra verso il modello di quelle approvate dal Governo di Centro-destra nel 2006 e respinte dal successivo referendum popolare, Berlusconi vorrebbe sostanzialmente rilanciare sullo schema di allora, incentrato sul premierato forte, probabilmente  estendendo l’intesa anche ad una partecipazione alla maggioranza di Governo, per marginalizzare il ruolo dell’opposizione interna del PD e degli scissionisti alfaniani.
Il più insidioso è apparso il direttore di Libero, Maurizio Belpietro (pur rappresentando la testata politicamente più vicina) il quale, forse dopo aver concordato la domanda, ha chiesto chiarimenti sulla erosione della sua forza politica, facendo riferimento al distacco, su base consensuale, di Fratelli d’Italia ed, in termini molto più polemici, del NCD. Il caimano ha liquidato quest’ultima vicenda, definendo casi personali di attaccamento alle poltrone le scelte dei suoi ex seguaci ed ha evitato di rispondere alle reiterate domande di Vespa sulla eventualità in futuro di un recupero del rapporto. L’obiezione di Alfano, riferita dallo stesso conduttore, che si tratterebbe di poltrone chiodate, è stata liquidata con una smorfia, ribadendo che al giovane, un tempo individuato come possibile delfino, mancava il “quid” necessario per essere un vero leader.
Vespa, notoriamente vicino a Berlusconi, è stato costretto infine ad intervenire con una certa ruvidezza, quando l’ospite, con la precisa intenzione di creare lo scoop della serata, ha fatto riferimento ad un complotto in due tempi, ordito contro di lui per farlo fuori dalla Presidenza del Consiglio, con la regia del Quirinale. L’ex cavaliere si è persino dichiarato disponibile a fornirne le prove, in quanto dodici testimoni  avrebbero assistito ad una telefonata, amplificata col viva voce, tra Fini e Napolitano, nel corso della quale il Capo dello Stato si sarebbe posto come garante, sin dal 2010, per un cambio di maggioranza al Governo, la cui guida sarebbe stata affidata al Presidente della Camera.

Nell’epoca della politica ridotta a spettacolo, il Presidente di FI ha dimostrato di essere ancora il più bravo, tanto che, accuratamente, non ha fatto alcun cenno al grave pericolo rappresentato dalla capacità manovriera di Grillo, che è il suo avversario, in gardo di conquistare ampie aree del suo elettorato e contendergli il ruolo di rappresentante del principale partito di opposizione. Invece ha attaccato Renzi, che da “rottamatore” si sarebbe trasformato in “simpatico tassatore”, sapendo che egli è il principale interessato  al salvataggio di Berlusconi, col quale potrebbe in futuro raggiungere un accordo più solido e duraturo di quello siglato due mesi fa al Nazareno, con l’obiettivo di  sottrarsi al ricatto della minoranza del PD e venire incoronato eventualmente delfino effettivo.
Di fronte al desolante scenario di una politica trasformata in competizione tra tre capocomici, si spiegano bene gli umori di una grandissima parte degli elettori italiani, forse la maggioranza, tentati dalla scelta di non andare a votare. Tuttavia, complice una stampa prezzolata, tale fenomeno, come si è già verificato in passato, occuperebbe il primo quarto d’ora delle trasmissioni sui risultati elettorali, per poi passare nel dimenticatoio e consegnare il potere, rafforzato dalle riforme costituzionali ipotizzate, nelle mani di una minoranza.
Siamo ben lontani dal superamento di quella lunga transizione, cominciata da oltre un ventennio e che ha prodotto il divorzio tra politica e cultura, tra progetti e valori, tra speranza ed illusione. Ai messaggi politici fondati magari sull’utopia si è sostituito uno sfrenato, a volte rabbioso, populismo, ispirato da guitti ed istrioni. Neanche i duri colpi di una crisi economica senza precedenti hanno prodotto nuovi messaggi ideali, anzi hanno finito col deprimere quelle che dovevano essere le energie migliori, che avrebbero effettivamente potuto creare la condizioni del cambiamento. L’egoismo cinico di un’Europa priva di spinta ideale e di orgoglio per le proprie antiche radici, sicuramente più solide e ricche, hanno determinato, anche nei confronti delle sue deboli istituzioni, una spinta al rigetto, piuttosto che al rilancio dei valori fondanti.
Un nuovo Parlamento europeo ingovernabile per le spinte contrastanti e nichiliste che vi si annideranno, finirà col riconsegnare tutto il potere al Consiglio, dove non potrà che continuare a prevalere il miope egoismo degli Stati.
Purtroppo, ancora una volta, il pessimismo della ragione non può che prevalere rispetto all’ottimismo di una volontà che non c’è, anzi affoga in un oceano di velleitarismo, di rassegnazione e di sterile protesta.

 

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